“NON VOLEVO SOLDI E FAMA, MA SCATENARE BUFERA. SONO STATA UN’APRIPISTA, E SPERO DI AVER ALLEVATO UN NUTRITO GRUPPO DI CATTIVE RAGAZZE”, DICE LA CANTAUTRICE NEL SUO DISSACRANTE MEMOIR DADAUFFA (di ELEONORA MOLISANI).
“La mia? Non è musica leggera, è musica moderna. Ma il problema di chi sta troppo avanti è lo stesso di chi sta indietro: vivi comunque un disallineamento. Con le mie canzoni non inseguivo i soldi o la fama, sono stata un’apripista, contro ipocrisia e perbenismo. Amavo essere contestata, bucare i muri, scatenare bufera». Silenzio: parla Rettore. E intervistarla è come domare un vulcano in eruzione. Donna dal le infinite incarnazioni, cantante, cantatrice, attrice, e ora anche autrice del memoir Dadauffa. Memorie agitate (Rizzoli, € 18), corredato da un ricco inserto fotografico, in cui la cantautrice veneta racconta l’infanzia castigata in Veneto, con la mamma Teresita che osteggiava la sua passione per il palco. Ribelle e insofferente alla disciplina, finisce in collegio dalle suore ma la disciplina fer rea sortisce l’effetto contrario, trasformando la in un’irriducibile ribelle, guardata con benevolenza solo da papà Sergio, commerciante e reduce di guerra.

A 10 anni cantavi già in una mini band, unica donna tra i maschi…
“Con i Cobra mi esibivo nelle parrocchie, cantando le canzoni della Caselli per 500mi la lire a serata. Poi sono stata spedita dalle suore per essere “raddrizzata”, ma dopo il liceo e il diploma al conservatorio sono scappata a Roma, volevo a tutti i costi realizzare il mio sogno. Da lì in poi non mi sono fermata più, nonostante mamma Teresita non condivi desse la mia scelta. A un provino ho incontrato Claudio Rego, musicista, autore e amore della mia vita, a cui dedico anche il libro. La testardaggine mi ha portato, dopo una durissima gavetta, a conquistare palchi nazionali e internazionali, sfornando titoli che hanno fatto discutere ma poi sono rimasti, come Splendido Splendente, Kobra, Lamette“.
Hai deciso di cominciare il tuo racconto dalla fine: la scoperta, in piena pande mia, di avere un tumore…
“Il 2020 per me è stato un anno orribile: ho avuto il Covid, mi hanno trovato un tumore al seno che ho dovuto operare, ho perso il mio adorato cane, per me come un figlio. Prima non avevo mai pensato alla morte, ero troppo impegnata a saltare gli ostacoli. Poi mi è venuta voglia di fare un’immersione nell’oceano esistenziale. Ma siccome le co se brutte sono spesso pioggia prima dell’arcobaleno, alla fine ne sono uscita più consapevole. Niente ti instilla pensieri di vita come la paura della morte”.
Hai lavorato con artisti di fama naziona le e internazionale. Lucio Dalla fu uno dei primi a credere in te…
“Ai provini era durissima: mi consideravano la classica bellona senza talento, pronta a tutto per emergere. Il soffitto di cristallo del cantautorato maschile non è stato facile da sfondare. Un incontro fondamentale fu quel lo con Dalla. Mi chiese se le canzoni le scrivessi io, e quando risposi di sì, commentò: “Mena, ragassal”. E a mia madre, che mi teneva d’occhio e mi accompagnava sempre, disse: “Signora, si tratta di cantare, non di fare la troia!”.
Senza il tuo look eccentrico i tuoi messaggi forti sarebbero passati ugualmente?
“No. Vedevo i miei miti, Elton John ed Annie Lennox, che si vestivano in modo esagerato. Così quando sono andata a Londra mi sono buttata sui mercatini e gli stilisti più eccentrici. Il look è un’arma a doppio taglio, quando è troppo forte può oscurare il contenuto, ma per me era fondamentale catturare l’attenzione, dovevo colpire anche visivamente. Non sarebbero bastati i messaggi dissacranti se non fossi stata anche esteticamente androgina e fuori dalle righe. Ho cambiato anche il nome in Rettore: artista senza connotazioni sessiste, irriverente e autoironica, perché chi non ha autoironia non sa vivere: bisogna sempre prendersi per il culo”.

Nelle ultime edizioni di Sanremo hai duettato con artiste giovanissime. Che esperienza è stata?
“Quest’anno ho duettato con il brano Chi mica con Ditonellapiaga (Margherita Carducci) e nel 2021 ho cantato Splendido Splendente con La rappresentante di lista (Dario e Veronica). Sono nel mio cuore, e credo che queste ragazze possano finalmente esprimersi senza limiti. Ma in Italia siamo ancora indietro, c’è ancora tanto da fare per i diritti, la diversità e l’inclusione. In ogni caso, come dico nel finale del mio libro: in questi anni io spero di aver almeno allevato un nutrito gruppo di ragazze cattive”.
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