La fuga, a 12 anni, «per andare a vivere con Mick Jagger», e iì collegio delle suore per punizione. L’incontro con Dalla e quello con Elton John. I primi successi (con patate) in Germania e quelli di oggi con i giovani. L’eterna rivalità con Loredana Berté e l’eterno amore con il suo Claudio. In un libro, e in questa intervista, racconta una vita che non si è fatta mancare niente. «Tranne due gemelli per riempire quella culla». (di Antonella Fiori – F Cairo Editore)

Mentre prendeva il tè con «Reginaldo» ­ Sir Elton John, nato Reginald Kenneth Dwight ­ dall’emozione sì è rovesciata addos­ so la tazza. Da bambina voleva scappare con Mick Jagger ed è finita nella Londra di David Bowie, «un Lord che mi salutava tutte le matti­ ne quando ci incontravamo».

Rettore, ovvero Donatella Rettore, in Dadauffa ripercorre la sua vita, compreso l’incontro a 18 anni con Lucio Dalla, che convinse sua mamma a lasciarla andare in tournée con lui. Un flusso di coscienza che parte dalla scoperta di un «sas­solino», un tumore al seno, a inizio 2020. «Eravamo in piena pandemia e sono una che se c’è un virus è la prima a prenderlo per le mie difese immunitarie pari a zero. Entro in ospe­dale il 5 marzo 2020: sembrava la fine. Mi ha rassicurato la grande professionalità di medici e infermieri. “È più protetta qui che a casa”, hanno detto. E alla fine e andato tutto bene».

Sua madre Teresita l’ha avuta a 39 anni dopo tre figli maschi morti appena nati. Che aspettative c’erano su di lei?
Altissime. Teresita avrebbe voluto studiare, ma non ha potuto perché le donne ai suoi tem­ pi stavano tre passi dietro ai maschi, e così mi voleva laureata, possibilmente scienziata. Ho cercato tutta la vita di risarcirla seguendo la mia strada, ma lei a suo modo mi ha fatto capi­ re di non averne più bisogno. Come se mi aves­se detto: «Mi sono già riscattata. Da autodidat­ta, leggo e scrivo».

A tre anni ballava, a cinque la paragonava­ no a Shirley Tempie. Predestinata?
Sapevo di non poter fare altro, anche se per mia madre ogni mio traguardo era uno shock. Mi faceva partecipare ai provini sperando che mi scoraggiassi, invece doveva arrendersi a porte che si aprivano ovunque.

Che chance poteva avere una ragazza della provincia trevigiana?
A Castelfranco Veneto ci sentivamo importan­ti. Eravamo la città di Giorgione e del radic­chio. Ero giovanissima quando ho iniziato a fare musica in un gruppo, Telly e i Cobra, in cui cantavo le canzoni di Patty Pravo, dei Nomadi, di Celentano, e Nessuno mi può giudicare.

Ha esordito in tv al quiz per ra­gazzi Chissà chi Io sa.
Ci arrivai convincendo la mia classe a partecipare. Perdemmo, ma in quello studio televisivo a Milano, con Fausto Leali che cantava A chi, conquistai tutti i primi piani: sono stata la diva della trasmissione.
A12 anni il primo tentativo di fu­ ga per raggiungere Mick Jagger. Era il ’67, avevo saputo che c’erano i Rolling Stones a Milano. Comprai i biglietti del concerto e del treno con i soldi delle paghette e lasciai un messaggio sul tavolo della cucina: «Ciao mamma, vado a vivere con Mick Jagger». Lei chiamò subito la stazione di Castelfranco Veneto, se­ gnalando la scomparsa di una bimba bionda con una valigetta. Mi rag­giunse un carabiniere sul regionale: «Come ti chiami?». «Giusy», dissi.

Come finì?
Fui spedita in collegio ad Asolo, dal­ le suore dorotee. Un’esperienza ter­ ribile che paragono solo a quella che ho vissuto nel reality La fattoria, senza luce, gas, fuoco.

Ha avuto un rapporto speciale con Elton «Reginaldo» John.
L’ho conosciuto dopo aver cantato la sua canzone Remember, nel 1981. Ne ero follemente innamorata, quando si metteva al piano cadevo in estasi. Mi ha sempre trattata come una ragazza di grande talento. Gli di­ cevo: «Dammi qualche consiglio», e lui: «Non serve, vai bene così».

La sua carriera inizia all’estero.
Canzoni come La Berta mi avevano resa popolarissima in Germania già a vent’anni, ma a forza di mangiare kartoffeln e cibo spazzatura ero di­ventata un armadio. Devo ringrazia­ re i tedeschi che mi dicevano: «Vedi quanta gente ti ama? Anche tu devi amarti». Quando mi sono detta «So­no speciale» è cambiato tutto.

Per come ha esposto il suo corpo è stata criticata dalle femministe.
Non credo che nessuno si possa defi­ nire più femminista di me. Nel ’77 cantavo una canzone che si chiama­ va Il patriarca dove descrivevo il maschilismo all’ennesima potenza. Faceva: «Tutto intorno a te una ta­ vola imbandita, le parti le fai tu… tua moglie l’hai tradita».

Il Kobra. Se non è un serpente, cos’è?
Un amico cantautore lucano diceva: «Voi donne al Nord non avete idea, noi al Sud c’abbiamo un cobra!». Così ho voluto scrivere una canzone, uno scherzo, per dimostrare che anche noi donne possiamo dire non ci basta il cobra, ci vuole un uomo che ci dia attenzioni, che sia femminista.

Perché Rettore a un certo punto ha eliminato Donatella?
Era un modo per togliere di mezzo il genere. Tantissimi, dopo, si sono chiamati solo col cognome.

Oggi collabora con artisti come Ditonellapiaga, Tancredi.
I giovani mi aprono strade. Sono di­ ventata amica dei genitori, andiamo a cena insieme. Alla mia età non mi aspettavo più di far arrivare il mes­saggio che la musica è per tutti, non solo per gli adolescenti.

La Bertè è ancora la sua rivale?
Con Loredana non ci parliamo. Lei e una persona molto intelligente ed è chiaro che nel film della vita bisogna avere un’antagonista, sennò l’inte­resse cala: per cui credo che voglia mantenere viva questa rivalità.

Ha un compagno con cui compo­ne musica da quando era ragazzi­na, Claudio Rego, sposato a 50 anni in abito bianco. Come fa un amore a durare così tanto?
Claudio è l’uomo migliore che abbia mai incontrato. Ci siamo presi, la­ sciati, ripresi. Quando m’invaghivo di altri, dopo tornavo da lui: «Mi vor­resti ancora?». «Certo amore che ti voglio, aspettavo solo che ti accor­ gessi di che cazzata stavi facendo».

Non avete avuto figli.
Le abbiamo provate tutte, tranne l’adozione perché nella mia famiglia non ci sono state belle esperienze. Ho riversato tutto nell’amore scon­finato per i miei cani. Ho conservato la mia culla: come genetica avrei po­ tuto avere un parto gemellare, e ci avrei voluto mettere dentro almeno un paio di bambini.


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